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E TIFA FIORENTINA
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Il sole che scintilla su Torino a momenti lascerà il passo alla pioggia, perché quando s'avvicina il 4 maggio c'è sempre un momento in cui il cielo diventa implacabilmente livido e d'improvviso cala il buio, come buio era quel pomeriggio di settant'anni fa quando l'aereo del Grande Torino - all'epoca, la squadra più importante del mondo - si schiantò contro la basilica di Superga. Nessuno sopravvisse. Non un giocatore, non uno tra allenatori medici e massaggiatori, non un membro dell'equipaggio, nessuno dei tre giornalisti al seguito. Fu la tragedia più tragica che abbia mai colpito il mondo dello sport, l'unica che abbia raso al suolo una generazione intera di calciatori, dei migliori calciatori che l'Italia avesse nel dopo guerra, e che abbia cambiato per sempre la storia del club e della gente che lo ama, che da allora si porta dentro i due sentimenti che quell'amore alimentano: la rabbia per la più ingiusta delle ingiustizie possibili e il rispetto della memoria, romantico e doloroso al tempo stesso. Chi nel '49 c'era, ha un ricordo che gli gela la colonna vertebrale, più di ogni altro: seppe della notizia perché qualcuno gli disse, con disperata incredulità, "è morto il Toro". Nessuno immaginava che una squadra potesse morire.
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